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Non più fare la carità,
ma essere carità

La tavola rotonda di oggi apre finestre di riflessione per l’OFS d’Italia riunito in Assemblea a San Giovanni Rotondo. L’attenzione si volge “fuori”, verso gli ultimi

© Gianluca Garbuglia – Don Marco Pagniello direttore della Caritas Italiana e fra Luciano Lotti, cappuccino, segretario generale dei Gruppi di Preghiera fondati da padre Pio.


 

26 novembre 2022

Giuseppe Di Matteo

Si prosegue a camminare sui passi dell’OFS d’Italia, che, in Assemblea nazionale, ha appena vissuto un importante momento di formazione, guidati dalle sapienti parole di don Marco Pagniello e fra Luciano Lotti, per entrare nel merito di ciò che i francescani secolari sono chiamati a fare.

Questo è stato chiesto ai relatori odierni: che aiutino in qualche modo l’OFS a mettersi in crisi.
«Non dobbiamo essere in uscita solo perché ce lo ha detto il Papa – hanno detto i responsabili dell’Ordine – ma perché lo sentiamo come urgenza, come cosa da fare in questo momento della storia della Chiesa».

In qualità di direttore della Caritas Italiana, don Marco Pagniello ha portato il punto di vista dell’associazione di cui è leader, che si riconosce chiamata ad andare “fuori”, per porsi a servizio degli uomini e delle donne in difficoltà, con lo slancio degli innamorati di Dio e degli appassionati dell'umanità. È fondamentale per Pagniello ricordare sempre che si è Caritas per Dio e che il servizio nasce da questa vocazione.

Le 218 diramazioni territoriali della Caritas sono nate per animare le comunità cristiane in modo generativo affinché tutte siano messe nelle condizioni di servire e farsi carico dei poveri, abitando i luoghi in cui sono e mettendosi autenticamente in ascolto poiché non ci può essere servizio fraterno senza ascolto.

Papa Francesco – rammenta don Marco – ha da ultimo ricordato che non è la povertà che deve essere al centro della nostra attenzione come fenomeno sociale, bensì i poveri come persone. Dice il Papa che esistono due tipi di povertà: una che annienta e una che libera. La prima è la miseria, che è frutto di ingiustizia e disuguaglianze ed è quella che dobbiamo combattere. Siamo chiamati ad assistere i poveri, ma anche a liberare i poveri dalla miseria denunciando le disuguaglianze. Il secondo tipo di povertà è quella che libera, cioè il modo di essere che ci fa sentire vicini ai poveri, in grado di farsi prossimi, essere accoglienti ed inclusivi.

Snocciolando i dati dell'ultimo Rapporto Caritas si scopre che la povertà è ormai un fenomeno che tocca la maggior parte delle famiglie italiane. Le povertà economiche infatti riguardano più gli italiani che gli stranieri e c'è una grande emergenza abitativa che trova la sua origine non tanto nella mancanza di case ma nella poca disponibilità a renderle disponibili a chi ne ha più bisogno, per la tendenza a massimizzare il profitto derivante dagli affitti.

In particolare l’attenzione di Caritas in questo periodo si rivolge a verso i giovani, poiché si registra il fenomeno della trasmissione intergenerazionale della povertà. Rispetto al passato accade, infatti, di assistere figli e figlie di persone già sostenute dall’Ente in passato, e questo significa che sempre più i giovani non riescono a costruirsi una vita migliore rispetto a quella dei propri genitori: la povertà resiste al tempo e non permette il cambiamento.

È lì che si è chiamati ad operare, per dire che il cambiamento è possibile. Si è chiamati a lavorare affinché sia così: ricostruire reti sociali che si sono perdute, farsi concretamente carico delle persone per spezzare la trasmissione delle povertà, combattere l’economia della scarto e i cambiamenti climatici.

La grande sfida lanciata da papa Francesco è quella di rendere i poveri protagonisti del cambiamento e non solo soggetti da assistere; i poveri sono portatori di bisogni e di risorse, e con loro si può cambiare il mondo.

A seguire, fra Luciano Lotti, esperto e testimone della vita di san Pio, racconta che il Santo stigmatizzato delegava all’OFS la formazione spirituale nelle parrocchie e che egli stesso è stato assistente. La singolarità di padre Pio sta nell’attenzione agli ultimi come ultimo, ai malati come malato, agli emarginati come emarginato, e nel voler coinvolgere costantemente il terz’Ordine in questa dinamica.

Tutto ciò lo faceva partecipando pienamente al contesto cittadino, nel proprio ruolo di sacerdote e confessore, interessandosi concretamente ai problemi della gente del territorio con le innumerevoli opere caritative che hanno caratterizzato il suo impegno pubblico.

Il santo Cappuccino voleva che i terziari sapessero leggere il territorio, per capire dove indirizzare la propria azione caritativa, poiché spesso le vere povertà sono nascoste e vanno trovate, educandosi ad essere ultimi tra gli ultimi, e passando per una nuova teologia del povero: non più fare la carità, ma essere carità.

Intervenuto per un saluto nel corso dell’incontro, l’arcivescovo Francesco Moscone ha ringraziato i francescani secolari per il loro impegno, prezioso perché incarnato nella storia. Sta nei laici, dice, il peso della Chiesa e il fermento della sinodalità.

 

 

 

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